Nell’isola di Ogigia Calipso riassunto
Nell’isola di Ogigia Calipso riassunto e parafrasi con il testo dell’episodio di Ulisse e Calipso contenuto nel libro V dell’Odissea.
Ulisse e Calipso Odissea
L’episodio di Odisseo e Calipso si trova nel quinto libro dell’Odissea. Il Libro V dell’Odissea inizia con un concilio degli dei e con la dea Atena che si lamenta per la sorte di Ulisse, tenuto prigioniero sull’isola di Ogigia dalla ninfa Calipso. Zeus invita quindi Hermes a recarsi da Calipso affinché la convinca a liberare Odisseo lasciandolo partire.
Riassunto nell’isola di Ogigia Calipso
Per cominciare il riassunto dell’episodio di Ulisse e Calipso è importante dire che Odisseo e Calipso vivono già da sette anni insieme sull’isola di Ogigia; Ogigia è un’isola stupenda, ricca di animali, piante e fiori, descritta da Omero come un luogo paradisiaco.
L’isola è abitata dalla bellissima ninfa Calipso, figlia di Atlante e di Teti, che vive in una grotta con molte sale e ricchissima di vegetazione, che si apre su giardini naturali e su un bosco sacro composto da grandi alberi. Calipso trascorre le sue giornate a tessere e a filare in compagnia di altre ninfe sue schiave e tutte insieme cantano mentre lavorano.
Ulisse giunge sull’isola dopo essere scampato a Scilla e Cariddi e dopo l’episodio dei buoi sacri al dio Sole: ben presto Calipso si innamora di Odisseo e vorrebbe tenerlo per sempre con sé, offrendogli come ricompensa l’eterna giovinezza e l’immortalità.
Ulisse e Calipso riassunto
Tuttavia Ulisse non si lascia sedurre dalle lusinghe di Calipso, anzi piange e si dispera perchè non vorrebbe restare prigioniero a Ogigia ma tornare a Itaca dove ad attenderlo ci sono la moglie Penelope e il figlio Telemaco. Le lacrime dell’eroe vengono prese in considerazione dalla dea Atena, che chiede a Zeus di intervenire, il quale decide di mandare Ermes, il messaggero degli dèi, per ordinare alla ninfa Calipso di liberare Ulisse.
Calipso, anche se non vorrebbe, non può far altro che rispettare l’ordine degli dei: va perciò sulla riva del mare dove incontra Ulisse e gli fornisce le provviste per il viaggio e li legname per costruirsi un’imbarcazione, indicandogli anche gli astri in base a cui regolare la rotta.
Odisseo, finalmente libero, può così riprendere il viaggio verso Itaca, la sua patria, dove vive la sua famiglia che lo attende ormai da anni.
Ulisse e Calipso testo
Chiese Calipso, chiara tra le dee, ad Ermete, fattolo sedere sullo splendido trono lucente: «Perché sei venuto, Ermete dall’aurea verga, onorato e caro? Non sei venuto spesso in passato. Di’ quel che pensi: l’animo mi dice di farlo,
se posso farlo e se deve farsi.
Ma seguimi oltre, perché ti offra cose ospitali».
Detto così, la dea gli pose dinanzi una tavola
colma di ambrosia e gli mescé rosso nettare.
Ed egli beveva e mangiava, il messaggero Arghifonte.
E quando ebbe mangiato e appagato col cibo il suo animo, allora rispondendo le disse:
«Chiedi perché son venuto, dea a un dio, ed io
ti dirò senza inganno: tu lo vuoi.
Zeus mi ordinò di venire, contro la mia volontà: e chi vorrebbe traversare tanta acqua salata,
infinita? Vicina non c’è una città di mortali che fanno agli dei sacrifici e scelte ecatombi. Ma un dio non può trasgredire
o rendere vano un pensiero di Zeus egìoco.
Dice che un uomo è con te, più infelice degli altri,
uno degli uomini che sotto la rocca di Priamo combatterono per nove anni e, distrutta la città, tornarono al decimo
a casa: ma durante il ritorno offesero Atena,
che contro gli suscitò un vento maligno e grossi marosi.
Allora tutti gli altri compagni valorosi perirono,
e il vento e l’onda lo portarono e spinsero qui. Costui ora Zeus ti ordina di rimandarlo al più presto:
la sua sorte non è di morire qui, lontano dai suoi,
ma è suo destino vedere ancora i suoi cari e tornare nella casa dall’alto soffitto e nella terra dei padri».
Disse così. Rabbrividì Calipso, chiara fra le dee, e parlando gli disse alate parole:
«Siete crudeli, voi dei, gelosi più di ogni altro, che invidiate alle dee di giacersi con uomini
apertamente, se si procurano un caro marito. […]
Costui io l’ho accolto e nutrito, e pensavo
di farlo immortale e per sempre senza vecchiaia. Ma poiché un altro dio non può trasgredire
o rendere vano un pensiero di Zeus egìoco,
vada pure in malora, se egli lo spinge e comanda,
sul mare infecondo. Io certo non posso aiutarlo: non ho navi coi remi, e compagni
che lo scortino sul dorso vasto del mare.
Invece gli darò volentieri consigli, senza celarli, perché arrivi salvo nella sua terra».
Allora il messaggero Arghifonte le disse:
«Mandalo, dunque, così; e paventa l’ira di Zeus,
che poi, sdegnato, con te non sia aspro».
Detto così il forte Arghifonte partì:
lei si recò dal magnanimo Odisseo, la ninfa possente,
quando ebbe udito il messaggio di Zeus.
Lo trovò seduto sul lido: i suoi occhi
non erano mai asciutti di lacrime, passava la dolce vita piangendo il ritorno, perché ormai non gli piaceva la ninfa. Certo la notte dormiva, anche per forza,
nelle cave spelonche, senza voglia, con lei che voleva; ma il giorno, seduto sugli scogli e sul lido, lacerandosi l’animo con lacrime, lamenti e dolori, guardava piangendo il mare infecondo.
Ritta al suo fianco gli parlò, chiara fra le dee:
«Infelice, non starmi qui a piangere ancora, non rovinarti
la vita: ti lascerò andare ormai volentieri.
Ma su, taglia dei grossi tronchi con l’ascia di bronzo
e costruisci una zattera larga: sopra conficca dei fianchi, perché ti porti sul fosco mare.
Io vi porrò in abbondanza del cibo, acqua
e rosso vino, che ti tengano lontana la fame;
ti coprirò di panni; ti invierò dietro un vento, perché possa giungere incolume nella tua terra, se gli dei che hanno il vasto cielo lo vogliono,
che quando pensano e agiscono son più potenti di me». Disse così: rabbrividì il paziente chiaro Odisseo
e parlando le rivolse alate parole:
«Un’altra cosa, non di mandarmi, tu mediti, o dea,
che mi esorti a varcare il grande abisso del mare,
terribile e duro, con una zattera: ma neanche navi librate,
veloci, che godono del vento di Zeus, lo varcano.
Né io monterò su una zattera contro la tua volontà,
se non acconsenti a giurarmi, o dea, il giuramento solenne che non mediti un’altra azione cattiva a mio danno».
Disse così; sorrise Calipso, chiara fra le dee,
lo carezzò con la mano, gli rivolse la parola, gli disse: «Sei davvero un furfante e non pensi da sciocco:
che discorso hai pensato di farmi!
Sia ora testimone la terra e in alto il vasto cielo
e l’acqua dello Stige che scorre (che è il giuramento più grande e terribile per gli dei beati)
che non medito un’altra azione cattiva a tuo danno. Ma penso e mediterò quello che per me
io vorrei, se fossi in tale bisogno:
perché anche io ho giusti pensieri, e nel petto non ho un cuore di ferro, ma compassione».
Detto così lo guidò, chiara fra le dee, sveltamente: dietro la dea andò lui.
Arrivarono, la dea e l’uomo, nella cava spelonca.
Lì egli sedette sul trono da cui s’era alzato Ermete, e la ninfa gli offrì ogni cibo
da mangiare e da bere, di cui i mortali si cibano. Lei stessa sedette di fronte al divino Odisseo
e le ancelle le misero innanzi ambrosia e nettare.
Ed essi sui cibi pronti, imbanditi, le mani tendevano. Poi, quando furono sazi di cibo e bevanda,
tra essi cominciò a parlare Calipso, chiara fra le dee: «Divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie,
e così vuoi ora andartene a casa, subito,
nella cara terra dei padri? E tu sii felice, comunque.
Ma se tu nella mente sapessi quante pene
ti è destino patire prima di giungere in patria, qui resteresti con me a custodire questa dimora, e saresti immortale, benché voglioso di vedere
tua moglie, che tu ogni giorno desideri. Eppure mi vanto di non essere inferiore a lei per aspetto o figura, perché non è giusto
che le mortali gareggino con le immortali per aspetto e beltà».
Rispondendo le disse l’astuto Odisseo:
«Dea possente, non ti adirare per questo con me: lo so
bene anche io, che la saggia Penelope
a vederla è inferiore a te per beltà e statura:
lei infatti è mortale, e tu immortale e senza vecchiaia. Ma anche così desidero e voglio ogni giorno
giungere a casa e vedere il dì del ritorno.
E se un dio mi fa naufragare sul mare scuro come vino, saprò sopportare, perché ho un animo paziente nel petto: sventure ne ho tante patite e tante sofferte
fra le onde ed in guerra: sia con esse anche questa».
Nell’isola di Ogigia Calipso parafrasi
Ed ecco qui la parafrasi vv149-224 di “nell’isola di Ogigia Calipso”, il nome con cui è più conosciuto l’episodio di Odisseo e Calipso:
Lei, la ninfa potente, va in cerca del grande Odisseo dopo aver sentito il messaggio di Zeus.
Lo trova seduto sulla spiaggia: non aveva mai gli occhi asciutti di lacrime, ma consumava la sua vita sospirando il ritorno a casa perché non gli piaceva più la ninfa.
Certo la notte, pur non volendolo, le dormiva vicino nella profonda grotta perché lei lo voleva, ma di giorno, seduto fra le rocce e la riva, si straziava il cuore piangendo e gemendo, e guardava lo sterile mare, lasciando scorrere le lacrime.
Mettendosi al suo fianco la dea luminosa gli dice di non piangere più e di non rovinarsi la vita, che lei lo lascerà partire. Gli dice di tagliare dei tronchi con l’ascia di bronzo e di costruirsi una grande zattera con dei fianchi sui bordi in modo da poter navigare nel mare cupo. Dice che gli darà cibo, acqua e vino rosso affinché non abbia a sentire la fame; lo vestirà di abiti e solleverà per lui il vento affinché possa arrivare incolume nella sua isola, sempre che gli dei vogliano, gli dei che abitano il cielo e che hanno più potere di lei nel volere le cose.
Dopo aver detto questo, Odisseo ha un brivido e le si rivolge dicendole parole leggere, affermando che non è questo che lei vuole veramente, quando lo esorta a partire per mare, che è così pericoloso, con una zattera: neanche navi ben costruite e veloci, che per di più godono del vento favorevole che spira da Zeus, possono attraversare quel mare. Dice anche che lui non salirà su quella zattera contro la volontà della dea, a meno che lei non faccia un giuramento solenne di non compiere altre azioni malvagie a suo danno.
Così dice Odisseo e Calispo sorride, dea luminosa, e lo accarezza con la mano dicendogli che è proprio un furfante e che non è per niente stupido visto che le ha fatto un discorso simile. Quindi si impegna nel giuramento e chiama a testimoni la terra e il grande cielo e il fiume Stige che lei non sta pensando ad altre azioni cattive a danno di Odisseo. Piuttosto, dice che penserà e desidererà per lui ciò che anche lei vorrebbe se si trovasse nelle sue condizioni, perché anche lei ha pensieri corretti e non ha un animo così duro, ma sentimenti di pietà.
Dopo aver detto questo, la dea luminosa, lo guida nella grotta. Lì Odisseo si siede dove poco prima si era alzato Hermes, Calipso gli offre ogni tipo di cibo e bevande. Anche lei si siede di fronte e a lui e le ancelle portano ambrosia e nettare. I due mangiano e quando si sentono sazi Calipso inizia a parlare, dicendo a Odisseo, figlio di Laerte e uomo molto astuto, che lui vuole partire subito per tornare a casa, in patria, e per questo è giusto che lui si rallegri. Ma Odisseo non sa quante pene e quanti pericoli dovrà attraversare prima di arrivare a casa, mentre se restasse con lei diventerebbe immortale, anche se gli rimarrebbe il desiderio di rivedere la moglie, cosa che gli capita ogni giorno. Continua dicendo di non sentirsi inferiore alla moglie di Odisseo, perché comunque le dee non possono gareggiare con le donne mortali riguardo alla bellezza e all’aspetto fisico.
Allora le risponde il furbo Odisseo di non arrabbiarsi per questo: lui lo sa bene che Penelope è meno bella di lei, anche perché Penelope è una mortale mentre lei è immortale e non ha addosso i segni della vecchiaia. Eppure, anche così, lui la desidera e vuole tornare a casa e che venga finalmente il giorno del ritorno. Anche se un dio lo facesse naufragare nel mare scuro e pericoloso, lui saprà sopportare, perché ha un animo paziente e già altre volte ha sopportato tante altre sventure sia in guerra che per mare e saprà sopportare anche questa.